MONGOL NEO NAZI di Sergio Grande
MIGLIOR PORTFOLIO 2011
Sinonimo di vita e prosperità nella cultura indù, trasformato in simbolo di repressione, paura e terrore nell’Occidente nella prima metà del secolo scorso, la svastica nazista, quasi a voler proseguire la sua sinistra missione ha raggiunto ora il cuore orientale di Ulaan Baatar, in Mongolia. Qui, in quella che fu la patria di Gengis Khan, gruppi di neo nazisti combattono una battaglia personale in difesa della loro terra, della loro dimenticata nazione. Due milioni e mezzo di abitanti appena per un territorio vasto quanto una volta e mezzo l’Europa, ricco di materie prime e oro, non sono sufficienti a salvaguardare la Mongolia dagli “attacchi” stranieri. I fronti sono troppi: economici, finanziari, sociali e culturali. Questi gruppi ultra nazionalisti hanno trovato nell’ideologia nazista tutti gli elementi attorno a cui organizzare la loro determinazione di riscatto e difesa del popolo mongolo dagli “invasori”. Più che intorno a un vero contenuto ideologico, la loro aggregazione è avvenuta intorno alla iconografia più bieca del secolo scorso: aquile torve, stilizzazioni gotiche, retorica razziale. Anche la loro guerra è alimentata dall’odio: odiano i cinesi, i russi, i matrimoni misti con stranieri, la corruzione dei politici mongoli. L’unica strada percorribile per ottenere risultati concreti è, secondo loro, arrivare a ricoprire cariche fondamentali nella società. Intanto però meglio serrare le fila sotto una bandiera ben riconoscibile, all’ombra della quale anche i deboli e gli incerti possono convincersi di essere forti, come parte di un tutto che la pensa e odia allo stesso modo. L’odio però, come sempre, impedisce la vista: presi dall’ipertrofia della loro identità, i neo-nazisti mongoli non si rendono conto della contraddittorietà della loro scelta: proprio l’ideologia suprematista ariana li avrebbe classificati non come campioni della razza, ma come esemplari difettosi da scartare senza scrupoli. Ma questo, loro, sembrano ignorarlo. E allo Tse Bar, loro punto di ritrovo in città - una santeria di tatuaggi, icone, quadri celebrativi che sembrano ignorare quale sia stato il verdetto della Storia – si muovono con atteggiamenti duri, militareschi, spostano i loro sguardi alteri e penetranti verso ciò che li circonda come se fosse parte non di un paese, ma di un destino. Sono loro i custodi della Mongolia, un paese da proteggere, da rivalutare, da esaltare.
Sergio Grande, nato a torino nel 1972 da più di dieci anni utilizzo la fotografia come mezzo per descrivere e comprendere il mondo che mi circonda.Ultimamente ho realizzato alcuni reportages nel Sud Est Asiatico e in Africa allo scopo di conoscere e analizzare realtà che sempre più spesso sono lontane dalla cronaca e dall'attenzione mondiale. Proprio in quest'ottica ho cercato di mettere in evidenza alcuni casi significativi attraverso reportages fotografici come ad esempio "La vita degli slums", "Cambogia, un paese minato", "Gente di ferrovia". Alcuni lavori sono stati pubblicati su settimanali italiani e sul sito web di Peace Reporter.
www.sergiogrande.it
MIGLIOR PORTFOLIO 2011
Sinonimo di vita e prosperità nella cultura indù, trasformato in simbolo di repressione, paura e terrore nell’Occidente nella prima metà del secolo scorso, la svastica nazista, quasi a voler proseguire la sua sinistra missione ha raggiunto ora il cuore orientale di Ulaan Baatar, in Mongolia. Qui, in quella che fu la patria di Gengis Khan, gruppi di neo nazisti combattono una battaglia personale in difesa della loro terra, della loro dimenticata nazione. Due milioni e mezzo di abitanti appena per un territorio vasto quanto una volta e mezzo l’Europa, ricco di materie prime e oro, non sono sufficienti a salvaguardare la Mongolia dagli “attacchi” stranieri. I fronti sono troppi: economici, finanziari, sociali e culturali. Questi gruppi ultra nazionalisti hanno trovato nell’ideologia nazista tutti gli elementi attorno a cui organizzare la loro determinazione di riscatto e difesa del popolo mongolo dagli “invasori”. Più che intorno a un vero contenuto ideologico, la loro aggregazione è avvenuta intorno alla iconografia più bieca del secolo scorso: aquile torve, stilizzazioni gotiche, retorica razziale. Anche la loro guerra è alimentata dall’odio: odiano i cinesi, i russi, i matrimoni misti con stranieri, la corruzione dei politici mongoli. L’unica strada percorribile per ottenere risultati concreti è, secondo loro, arrivare a ricoprire cariche fondamentali nella società. Intanto però meglio serrare le fila sotto una bandiera ben riconoscibile, all’ombra della quale anche i deboli e gli incerti possono convincersi di essere forti, come parte di un tutto che la pensa e odia allo stesso modo. L’odio però, come sempre, impedisce la vista: presi dall’ipertrofia della loro identità, i neo-nazisti mongoli non si rendono conto della contraddittorietà della loro scelta: proprio l’ideologia suprematista ariana li avrebbe classificati non come campioni della razza, ma come esemplari difettosi da scartare senza scrupoli. Ma questo, loro, sembrano ignorarlo. E allo Tse Bar, loro punto di ritrovo in città - una santeria di tatuaggi, icone, quadri celebrativi che sembrano ignorare quale sia stato il verdetto della Storia – si muovono con atteggiamenti duri, militareschi, spostano i loro sguardi alteri e penetranti verso ciò che li circonda come se fosse parte non di un paese, ma di un destino. Sono loro i custodi della Mongolia, un paese da proteggere, da rivalutare, da esaltare.
Sergio Grande, nato a torino nel 1972 da più di dieci anni utilizzo la fotografia come mezzo per descrivere e comprendere il mondo che mi circonda.Ultimamente ho realizzato alcuni reportages nel Sud Est Asiatico e in Africa allo scopo di conoscere e analizzare realtà che sempre più spesso sono lontane dalla cronaca e dall'attenzione mondiale. Proprio in quest'ottica ho cercato di mettere in evidenza alcuni casi significativi attraverso reportages fotografici come ad esempio "La vita degli slums", "Cambogia, un paese minato", "Gente di ferrovia". Alcuni lavori sono stati pubblicati su settimanali italiani e sul sito web di Peace Reporter.
www.sergiogrande.it