Barceloneta Smartphone Photo
Immagini che vorresti sempre sotto gli occhi
di Marida Rizzuti – musicologa
La frase “le fotografie, le immagini raccontano una storia” può apparire una frase fatta, svuotata del suo significato per il troppo uso e abuso; eppure per le fotografie della serie Barceloneta del fotografo Ros Ventura è una frase molto calzante, perché ciascuna delle immagini ferma un momento di quel luogo particolare, che è la spiaggia di Barcellona, la Barceloneta appunto. Le fotografie sono state scattate in un periodo lungo compreso fra il 2014 e il 2017, in diverse stagioni e i temi che le caratterizzano sono i più variegati.
È possibile individuare alcuni elementi ricorrenti nelle fotografie, che le avvicinano per contrasto: assenza/presenza, città/mare, movimento/stasi, etc. Il mare, la spiaggia, il vento, i gabbiani e la sabbia sono i protagonisti di questa serie; le persone vivono tutti quegli elementi, talora sembra che il più delle volte non ne abbiano consapevolezza. Ciascuna fotografia è una piccola rappresentazione: la spiaggia è vissuta dai surfisti in mare e non vi è nessuno, la spiaggia affollata d’estate, con i turisti e le loro valigie del tutto distanti dall’essere in spiaggia e con il mare lì a pochi metri, talora i gabbiani sono i protagonisti e sono subito notati, indicati (serie uP), così come in spiaggia si può leggere, prendere il sole, ma non appena vi è un fotografo il richiamo del “mettersi in posa” è immediato (Barceloneta 2015-07).
La Barceloneta, nelle fotografie di Ventura, non è solo una spiaggia, un approdo a mare dalla città; il fotografo riesce a farci vedere quello che c’è dietro la spiaggia, cioè la città, l’inurbamento e il desiderio di fuggire da essa: ad esempio nelle fotografie Gasolinera, Barcelona Wifi, looking, Barceloneta 2015-80, la città invade la spiaggia e il mare, i turisti o abitanti di Barcellona sono presenti (barceloneta 07, looking, looking 06), scattano fotografie, ma si ha la sensazione che potrebbero essere ovunque e non in quel luogo specifico.
Le fotografie preferite di chi scrive sono looking 2016, (double two) 2015-27, (E. Hopper remember 2015-47, (two brothers) 2015-44, (waiting) 2015-38, (waiting) 2015-39, perché ciascuna di queste fotografie rappresenta la Barceloneta non soltanto come una spiaggia: vi è soprattutto lo spazio vuoto che accoglie gli individui, la relazione fra la natura e l’uomo, il mare che si riappropria dello spazio dalla città. In particolare la fotografia (waiting) 2015-39 rende molto evidente questo, perché non ci sono figura umane, se non sullo sfondo al molo sulla sinistra, la presenza dell’uomo si può intuire dalla sedie e dalle docce, e dalle orme sulla sabbia, la staticità di questa fotografia è rotta dal movimento dell’onda che si avvicina, ma che non è ancora del tutto formata.
La serie Barceloneta va osservata con calma, è necessario distogliere lo sguardo e ritornare su ciascuna fotografia cogliendo ogni volta nuovi dettagli, tagli di luce inconsueti, aspetti che a una prima occhiata passano in secondo piano; se si guarda con attenzione la fotografia (barceloneta) looking 2016 si potrà addirittura sentire il dialogo intavolato dalla bambina con la scultura e sentire la bimba che dice: “Mira!”.
di Marida Rizzuti – musicologa
La frase “le fotografie, le immagini raccontano una storia” può apparire una frase fatta, svuotata del suo significato per il troppo uso e abuso; eppure per le fotografie della serie Barceloneta del fotografo Ros Ventura è una frase molto calzante, perché ciascuna delle immagini ferma un momento di quel luogo particolare, che è la spiaggia di Barcellona, la Barceloneta appunto. Le fotografie sono state scattate in un periodo lungo compreso fra il 2014 e il 2017, in diverse stagioni e i temi che le caratterizzano sono i più variegati.
È possibile individuare alcuni elementi ricorrenti nelle fotografie, che le avvicinano per contrasto: assenza/presenza, città/mare, movimento/stasi, etc. Il mare, la spiaggia, il vento, i gabbiani e la sabbia sono i protagonisti di questa serie; le persone vivono tutti quegli elementi, talora sembra che il più delle volte non ne abbiano consapevolezza. Ciascuna fotografia è una piccola rappresentazione: la spiaggia è vissuta dai surfisti in mare e non vi è nessuno, la spiaggia affollata d’estate, con i turisti e le loro valigie del tutto distanti dall’essere in spiaggia e con il mare lì a pochi metri, talora i gabbiani sono i protagonisti e sono subito notati, indicati (serie uP), così come in spiaggia si può leggere, prendere il sole, ma non appena vi è un fotografo il richiamo del “mettersi in posa” è immediato (Barceloneta 2015-07).
La Barceloneta, nelle fotografie di Ventura, non è solo una spiaggia, un approdo a mare dalla città; il fotografo riesce a farci vedere quello che c’è dietro la spiaggia, cioè la città, l’inurbamento e il desiderio di fuggire da essa: ad esempio nelle fotografie Gasolinera, Barcelona Wifi, looking, Barceloneta 2015-80, la città invade la spiaggia e il mare, i turisti o abitanti di Barcellona sono presenti (barceloneta 07, looking, looking 06), scattano fotografie, ma si ha la sensazione che potrebbero essere ovunque e non in quel luogo specifico.
Le fotografie preferite di chi scrive sono looking 2016, (double two) 2015-27, (E. Hopper remember 2015-47, (two brothers) 2015-44, (waiting) 2015-38, (waiting) 2015-39, perché ciascuna di queste fotografie rappresenta la Barceloneta non soltanto come una spiaggia: vi è soprattutto lo spazio vuoto che accoglie gli individui, la relazione fra la natura e l’uomo, il mare che si riappropria dello spazio dalla città. In particolare la fotografia (waiting) 2015-39 rende molto evidente questo, perché non ci sono figura umane, se non sullo sfondo al molo sulla sinistra, la presenza dell’uomo si può intuire dalla sedie e dalle docce, e dalle orme sulla sabbia, la staticità di questa fotografia è rotta dal movimento dell’onda che si avvicina, ma che non è ancora del tutto formata.
La serie Barceloneta va osservata con calma, è necessario distogliere lo sguardo e ritornare su ciascuna fotografia cogliendo ogni volta nuovi dettagli, tagli di luce inconsueti, aspetti che a una prima occhiata passano in secondo piano; se si guarda con attenzione la fotografia (barceloneta) looking 2016 si potrà addirittura sentire il dialogo intavolato dalla bambina con la scultura e sentire la bimba che dice: “Mira!”.
Parafraseando Marcel Proust
di Roberto Saporito – scrittore
"Parafrasando Marcel Proust (lui parlava di letteratura) la fotografia non è una questione di tecnica ma di visione. Oggi con uno smartphone si possono fare fotografie perfette, per quanto riguarda luce, messa a fuoco, ma è comunque la sensibilità del fotografo che fa la differenza. Il vero distinguo oggi è la velocità, l'immediatezza del risultato, fotografare una cosa, un fatto, a New York e poterla trasferire praticamente in tempo reale dall'altra parte del mondo. Ma come il passaggio dalla macchina da scrivere all'iPad non ha trasformato tutti quelli che scrivono in scrittori così lo smartphone non ha trasformato tutti quelli che fotografano in veri artisti. Questa serie di scatti di Ros Ventura dedicati a Barceloneta sono intriganti, puliti, semplici, lineari, naturali, minimali, quasi elementari, ma al contempo enormemente evocativi, quasi atemporali, immagini al limite del tableau vivant, che ti avvolgono e ti portano lì, in quel luogo suggestivo e anche un po' magico, spettatore di un languido bianco e nero, che uniforma tutto, ma al tempo stesso che ogni cosa ammanta di futuribile nostalgia, dove tutto sembra puro, genuino, ingannevolmente ingenuo, sorprendentemente senza malizia, ma con un primitivo istinto per il bello. Una fotografia flemmaticamente veloce, che trasporta lo spettatore in un luogo placido ma al contempo pieno di prorompente vitalità."
di Roberto Saporito – scrittore
"Parafrasando Marcel Proust (lui parlava di letteratura) la fotografia non è una questione di tecnica ma di visione. Oggi con uno smartphone si possono fare fotografie perfette, per quanto riguarda luce, messa a fuoco, ma è comunque la sensibilità del fotografo che fa la differenza. Il vero distinguo oggi è la velocità, l'immediatezza del risultato, fotografare una cosa, un fatto, a New York e poterla trasferire praticamente in tempo reale dall'altra parte del mondo. Ma come il passaggio dalla macchina da scrivere all'iPad non ha trasformato tutti quelli che scrivono in scrittori così lo smartphone non ha trasformato tutti quelli che fotografano in veri artisti. Questa serie di scatti di Ros Ventura dedicati a Barceloneta sono intriganti, puliti, semplici, lineari, naturali, minimali, quasi elementari, ma al contempo enormemente evocativi, quasi atemporali, immagini al limite del tableau vivant, che ti avvolgono e ti portano lì, in quel luogo suggestivo e anche un po' magico, spettatore di un languido bianco e nero, che uniforma tutto, ma al tempo stesso che ogni cosa ammanta di futuribile nostalgia, dove tutto sembra puro, genuino, ingannevolmente ingenuo, sorprendentemente senza malizia, ma con un primitivo istinto per il bello. Una fotografia flemmaticamente veloce, che trasporta lo spettatore in un luogo placido ma al contempo pieno di prorompente vitalità."
La rivoluzione in tasca: limiti e libertá nella fotografia digitale portatile
di Niccolò Bruna – filmmaker, nicbruna.tv
L'irruzione nelle nostre vite della foto digitale ed in seguito dello smartphone - individuale, portatile, voluttuoso, rapido - ha in pochissimo tempo ribaltato gli assiomi di una percezione fotografica che aveva resistito per oltre un secolo. Un cambiamento ottico, estetico e linguistico che, seppur giovane di vent'anni, è anche politico ed antropologico ed ha giá molte ripercussioni sulla nostra vita quotidiana e sulle prospettive espressive degli artisti.
Vorrei toccare il tema dal mio punto di vista, quello di un filmmaker interessato a sperimentare ed a non perdere il contatto con il pubblico.
L'innovazione tecnica ha sempre condizionato la creativitá.
Ci siamo abituati alle canzioni pop di 4' minuti perchè quello era il formato dei vinili a 45 giri. Oppure pensiamo al formato delle immagini in 35mm, un fortunato brevetto di Eastman che ha imposto lo standard del cinema e della fotografia del XX secolo: da quella finestra rettangolare abbiamo visto il mondo e plasmato la nostra fantasia per oltre un secolo.
Ma se è vero che ogni tecnologia fissa un limite, al tempo stesso ne propone anche l'aggiramento. Perchè l'artista ha bisogno di piegarla al suo scopo, di fare in modo che gli strumenti rispondano alle sue esigenze specifiche. Questa frizione tra limite e libertà è una componente essenziale del processo creativo. Ogni creatore immerso nella sua ricerca si cimenta su questo terreno di scontro, una zona mobile dove si va in continua avanscoperta, dove è imperativo lasciare la propria “zona di confort” per partire in esplorazione.
Le limitazioni che ci impone lo smartphone nel fare video e fotografia sono eclatanti ed a prima vista ci suggeriscono di starne alla larga. Lo schermo è piccolo (e lo è nella maggior parte dei casi anche quello dello spettatore), l'ottica non permette di lavorare sulla profondità di campo, l'esposizione ed il fuoco sono sotto il controllo semi automatico dell'apparecchio più che di quello del fotografo. Per quanto riguarda il video in particolare, l'audio è panoramico e quasi sempre registrato da un microfono di scarsa qualità e poco versatile.
Ma allora perché è interessante utilizzare uno smartphone per fare video e per fotografare? Quali nuove sfide ci propone?
Mi avventuro nel rispondere dando alcuni spunti meno apparenti in merito.
Sintesi.
Si sono moltiplicate esponenzialmente le immagini alle quali siamo esposti ed al contempo è diminuito il tempo che dedichiamo a guardarle. Se è vero che l'era della riproducibilità tecnica si è trasformata nell'epoca della proliferazione incontrollata, la sintesi e la brevità dei formati sono il dono che questo strumento ci può dare. I partecipanti della 12a edizione del Mobile Film Festival hanno realizzato cortometraggi inferiori al minuto e questa è la durata fissata da molti altri concorsi simili. Il formato ultra breve è orami lo standard dei video per web. I creatori di contenuti sono dunque obbligati ad essere interessanti ed utili al fruitore, senza fronzoli, francamente e subito. Pena l'esclusione dal gioco.
Istantaneità (come sinonimo di autenticità).
Il mezzo è di natura talmente rapida e senza filtri da favorisce la spontaneità di chi lo utilizza e pure di chi viene ripreso. Può essere un'ottimo strumento per chi ha un progetto dove il proprio punto di vista è al centro: video blogger, video giornalista, video artista per esempio. Il montaggio è solitamente ridotto all'essenziale o neanche contemplato. Spesso non esiste neppure un concetto di produzione, di preparazione della ripresa.
Meno artefatta e più sincera: la comunicazione via smartphone non permette di nascondersi dietro un dito, nè è adatta alla manipolazione ed ai grandi piani di cospirazione mediatica.
Simultaneità.
La distribuzione dei contenuti digitali è rapidissima, a volte simultanea, in streaming live senza intermediari. In questo momento qualche migliaio di video sta andando in streaming su Facebook Live e sono accessibili a chiunque disponga di un terminale e di una connessione. Ci sono canali istituzionali e tv, ma anche e soprattutto tante persone che si cimentano in sport, in un taglio di capelli o che stanno raccogliendo frutta da un albero. Il fatto che chiunque possa pubblicare non è necessariamente una buona cosa, anzi. L'anno scorso abbiamo assistito al primo omicidio in diretta streaming prodotto da un utente (la moglie della vittima), abbattendo un'altra barriera tra lo spazio individuale e quello pubblico.
Ma facendosi largo tra esibizionismi e momenti triviali, questo canale aperto e frammentato è un ritratto stimolante e realistico dei cambiamenti della nostra societá e del nostro tempo.
Questo nuovo approccio ai media online dà una possibilità in più per sovvertire le regole del gioco e per trovare il proprio pubblico. Un terremonto ha investito i media: si tratta di un modello di comunicazione che ha già scardinato quello verticale dei mass media classici.
Dagli strumenti multimediali sono fioriti anche i “citizen media”, formula ampia per definire le forme di partecipazione attiva dei cittadini nelle loro comunità. Ora sono questi i pionieri nelle news e si è interrotto lo storico monopolio dell'informazione determinato dalla politica e delle media corporation. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, basta pensare all'emergere in Italia di un soggetto politico di massa che si alimenta e comunica attraverso la rete per capire la portata del fenomeno.
La sperimentazione dal basso inoltre ha guidato un rinnovamento tecnico e artistico che ha introdotto concetti nuovi nel mondo dei media. Ad esempio quelli legati al marketing, alla partecipazione del pubblico ed al suo agire individuale e sociale. Come l'audience engagement, ad esempio, un tentativo consapevole di costruire i contenuti multimediali considerando la ricaduta in termini di partecipazione ai temi proposti del pubblico reale e potenziale. Sono fiorite le campagne di outreach, di coinvolgimento cioè del pubblico attraverso azioni che si svolgono sui social media e su piattaforme diverse da quella dove è nato e si è diffuso il contenuto stesso.
Queste nozioni, ormai linguaggio comune a tutti i mass media, sono fiorite sulla spinta del ciclone innovatore dei media digitali ed hanno negli user generated content attraverso lo smartphone la loro testa d'ariete.
Seppure in un terreno mobile e scivoloso per la sua frammentarietà, evanescenza e varietà di formati, questo nuovo scenario propone un ambito di lavoro stimolante e accessibile per i creativi e per gli artisti. E' vero, abbiamo perso uno standard e dei riferimenti chiari ma si sono create molte più crepe nel muro dei media: spiragli attraverso i quali possono propagarsi le idee, anche quelle non ortodosse.
Leggerezza.
Ora lo possono fare davvero tutti, non ci sono scuse per chi cerca una forma d'espressione. E' un approccio all'immagine dove conta di più il contenuto e meno la tecnica della ripresa. Via i pesi, via i complicati setting professionali, via molti dei filtri della tecnologia. Un po' di leggerezza produttiva non può che farci bene, come il presente progetto di Roberto Ventura ci mostra. Una rivoluzione verso la semplicità che ricorda le nouvelle vagues che hanno rinnovato il cinema negli anni '60 o il movimento danese Dogma che negli anni '90 del XX secolo ha proposto un cinema più leggere, spoglio e narrativo in pieno antagonismo con le grandi produzioni dell'industria americana dell'epoca.
Anche in questo caso l'effetto della rivoluzione digitale portatile ci parla nel bene e nel male, di democrazia. La “democratizzazione” della produzione delle immagini ha avuto inizio dagli anni '50 del 900 con l'introduzione delle cineprese portatili di 8mm, ma ora è assoluta e individuale.
Un esempio su tutti, il progetto Vedozero del regista Andrea Caccia che ha stimolato 100 giovani a raccontare la scuola vista “attraverso lo sguardo della generazione nativa digitale”. Con uno smartphone in mano i ragazzi hanno realizzato un racconto della loro vita. Ma si sono anche in questo modo imbarcati in un viaggio nella rappresentazione del loro mondo e di se stessi che è stato portato ad un livello organizzato e consapevole tale da cambiare la loro percezione delle cose. E forse in parte quella del loro pubblico. Come sempre la nuova tecnica ed il nuovo linguaggio che ne è derivato hanno costruito un nuovo modo di pensare il senso delle cose. Un nuovo linguaggio ci propone anche un nuovo mondo, un mondo che inizia ad esistere realmente proprio nel momento in cui viene immaginato e messo in scena.
Allora come adesso non ci dobbiamo illudere, perchè continua ad essere lo sguardo di chi usa lo strumento a fare la differenza, non lo smartphone che è un puro medium. Pure in un'epoca come la nostra dov'è la tecnologia a trainare lo sviluppo del linguaggio e dell'economia.
Quando Leica, il mitico fabbricante tedesco di macchine fotografiche, ha lanciato sul mercato il modello MD 262, ha voluto proporre una camera senza l'elemento caratteristico di una camera digitale: lo schermo per fare l'inquadrature e per vedere istantaneamente le immagini scattate. Quel piccolo rettangolo che ci rassicura che il gesto di fotografare è sotto controllo. Un controsenso in apparenza, tanto più se pensiamo che la MD 262 ha un costo molto superiore rispetto alle altre fotocamere con analogo standar tecnologico. Gli mancano inoltre la messa a fuoco automatica e varie altre funzioni che daremmo oggi per scontate.
Come per la fotografia di Roberto Ventura, questa intuizione della Leica ci suggerisce che esistono anche altri modi per creare nell'epoca della proliferazione delle immagini e dell'automazione della tecnologia portatile. Leica propone un nuovo ritorno al vecchio modo di fotografare, qualcosa del tutto diverso dall'Iphone 7: un approccio dove è al centro il pensiero che sta dietro il gesto di fotografare.
Vorrei chiudere la mia breve riflessione con questo spunto in apparenza antitetico a quanto descritto finora. In verità è proprio questo il maggior vantaggio della nostra epoca digitale portatile: lo spirito di libertà che ci permette, nel video come nella fotografia di sperimentare e di continuare a innovare.
di Niccolò Bruna – filmmaker, nicbruna.tv
L'irruzione nelle nostre vite della foto digitale ed in seguito dello smartphone - individuale, portatile, voluttuoso, rapido - ha in pochissimo tempo ribaltato gli assiomi di una percezione fotografica che aveva resistito per oltre un secolo. Un cambiamento ottico, estetico e linguistico che, seppur giovane di vent'anni, è anche politico ed antropologico ed ha giá molte ripercussioni sulla nostra vita quotidiana e sulle prospettive espressive degli artisti.
Vorrei toccare il tema dal mio punto di vista, quello di un filmmaker interessato a sperimentare ed a non perdere il contatto con il pubblico.
L'innovazione tecnica ha sempre condizionato la creativitá.
Ci siamo abituati alle canzioni pop di 4' minuti perchè quello era il formato dei vinili a 45 giri. Oppure pensiamo al formato delle immagini in 35mm, un fortunato brevetto di Eastman che ha imposto lo standard del cinema e della fotografia del XX secolo: da quella finestra rettangolare abbiamo visto il mondo e plasmato la nostra fantasia per oltre un secolo.
Ma se è vero che ogni tecnologia fissa un limite, al tempo stesso ne propone anche l'aggiramento. Perchè l'artista ha bisogno di piegarla al suo scopo, di fare in modo che gli strumenti rispondano alle sue esigenze specifiche. Questa frizione tra limite e libertà è una componente essenziale del processo creativo. Ogni creatore immerso nella sua ricerca si cimenta su questo terreno di scontro, una zona mobile dove si va in continua avanscoperta, dove è imperativo lasciare la propria “zona di confort” per partire in esplorazione.
Le limitazioni che ci impone lo smartphone nel fare video e fotografia sono eclatanti ed a prima vista ci suggeriscono di starne alla larga. Lo schermo è piccolo (e lo è nella maggior parte dei casi anche quello dello spettatore), l'ottica non permette di lavorare sulla profondità di campo, l'esposizione ed il fuoco sono sotto il controllo semi automatico dell'apparecchio più che di quello del fotografo. Per quanto riguarda il video in particolare, l'audio è panoramico e quasi sempre registrato da un microfono di scarsa qualità e poco versatile.
Ma allora perché è interessante utilizzare uno smartphone per fare video e per fotografare? Quali nuove sfide ci propone?
Mi avventuro nel rispondere dando alcuni spunti meno apparenti in merito.
Sintesi.
Si sono moltiplicate esponenzialmente le immagini alle quali siamo esposti ed al contempo è diminuito il tempo che dedichiamo a guardarle. Se è vero che l'era della riproducibilità tecnica si è trasformata nell'epoca della proliferazione incontrollata, la sintesi e la brevità dei formati sono il dono che questo strumento ci può dare. I partecipanti della 12a edizione del Mobile Film Festival hanno realizzato cortometraggi inferiori al minuto e questa è la durata fissata da molti altri concorsi simili. Il formato ultra breve è orami lo standard dei video per web. I creatori di contenuti sono dunque obbligati ad essere interessanti ed utili al fruitore, senza fronzoli, francamente e subito. Pena l'esclusione dal gioco.
Istantaneità (come sinonimo di autenticità).
Il mezzo è di natura talmente rapida e senza filtri da favorisce la spontaneità di chi lo utilizza e pure di chi viene ripreso. Può essere un'ottimo strumento per chi ha un progetto dove il proprio punto di vista è al centro: video blogger, video giornalista, video artista per esempio. Il montaggio è solitamente ridotto all'essenziale o neanche contemplato. Spesso non esiste neppure un concetto di produzione, di preparazione della ripresa.
Meno artefatta e più sincera: la comunicazione via smartphone non permette di nascondersi dietro un dito, nè è adatta alla manipolazione ed ai grandi piani di cospirazione mediatica.
Simultaneità.
La distribuzione dei contenuti digitali è rapidissima, a volte simultanea, in streaming live senza intermediari. In questo momento qualche migliaio di video sta andando in streaming su Facebook Live e sono accessibili a chiunque disponga di un terminale e di una connessione. Ci sono canali istituzionali e tv, ma anche e soprattutto tante persone che si cimentano in sport, in un taglio di capelli o che stanno raccogliendo frutta da un albero. Il fatto che chiunque possa pubblicare non è necessariamente una buona cosa, anzi. L'anno scorso abbiamo assistito al primo omicidio in diretta streaming prodotto da un utente (la moglie della vittima), abbattendo un'altra barriera tra lo spazio individuale e quello pubblico.
Ma facendosi largo tra esibizionismi e momenti triviali, questo canale aperto e frammentato è un ritratto stimolante e realistico dei cambiamenti della nostra societá e del nostro tempo.
Questo nuovo approccio ai media online dà una possibilità in più per sovvertire le regole del gioco e per trovare il proprio pubblico. Un terremonto ha investito i media: si tratta di un modello di comunicazione che ha già scardinato quello verticale dei mass media classici.
Dagli strumenti multimediali sono fioriti anche i “citizen media”, formula ampia per definire le forme di partecipazione attiva dei cittadini nelle loro comunità. Ora sono questi i pionieri nelle news e si è interrotto lo storico monopolio dell'informazione determinato dalla politica e delle media corporation. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, basta pensare all'emergere in Italia di un soggetto politico di massa che si alimenta e comunica attraverso la rete per capire la portata del fenomeno.
La sperimentazione dal basso inoltre ha guidato un rinnovamento tecnico e artistico che ha introdotto concetti nuovi nel mondo dei media. Ad esempio quelli legati al marketing, alla partecipazione del pubblico ed al suo agire individuale e sociale. Come l'audience engagement, ad esempio, un tentativo consapevole di costruire i contenuti multimediali considerando la ricaduta in termini di partecipazione ai temi proposti del pubblico reale e potenziale. Sono fiorite le campagne di outreach, di coinvolgimento cioè del pubblico attraverso azioni che si svolgono sui social media e su piattaforme diverse da quella dove è nato e si è diffuso il contenuto stesso.
Queste nozioni, ormai linguaggio comune a tutti i mass media, sono fiorite sulla spinta del ciclone innovatore dei media digitali ed hanno negli user generated content attraverso lo smartphone la loro testa d'ariete.
Seppure in un terreno mobile e scivoloso per la sua frammentarietà, evanescenza e varietà di formati, questo nuovo scenario propone un ambito di lavoro stimolante e accessibile per i creativi e per gli artisti. E' vero, abbiamo perso uno standard e dei riferimenti chiari ma si sono create molte più crepe nel muro dei media: spiragli attraverso i quali possono propagarsi le idee, anche quelle non ortodosse.
Leggerezza.
Ora lo possono fare davvero tutti, non ci sono scuse per chi cerca una forma d'espressione. E' un approccio all'immagine dove conta di più il contenuto e meno la tecnica della ripresa. Via i pesi, via i complicati setting professionali, via molti dei filtri della tecnologia. Un po' di leggerezza produttiva non può che farci bene, come il presente progetto di Roberto Ventura ci mostra. Una rivoluzione verso la semplicità che ricorda le nouvelle vagues che hanno rinnovato il cinema negli anni '60 o il movimento danese Dogma che negli anni '90 del XX secolo ha proposto un cinema più leggere, spoglio e narrativo in pieno antagonismo con le grandi produzioni dell'industria americana dell'epoca.
Anche in questo caso l'effetto della rivoluzione digitale portatile ci parla nel bene e nel male, di democrazia. La “democratizzazione” della produzione delle immagini ha avuto inizio dagli anni '50 del 900 con l'introduzione delle cineprese portatili di 8mm, ma ora è assoluta e individuale.
Un esempio su tutti, il progetto Vedozero del regista Andrea Caccia che ha stimolato 100 giovani a raccontare la scuola vista “attraverso lo sguardo della generazione nativa digitale”. Con uno smartphone in mano i ragazzi hanno realizzato un racconto della loro vita. Ma si sono anche in questo modo imbarcati in un viaggio nella rappresentazione del loro mondo e di se stessi che è stato portato ad un livello organizzato e consapevole tale da cambiare la loro percezione delle cose. E forse in parte quella del loro pubblico. Come sempre la nuova tecnica ed il nuovo linguaggio che ne è derivato hanno costruito un nuovo modo di pensare il senso delle cose. Un nuovo linguaggio ci propone anche un nuovo mondo, un mondo che inizia ad esistere realmente proprio nel momento in cui viene immaginato e messo in scena.
Allora come adesso non ci dobbiamo illudere, perchè continua ad essere lo sguardo di chi usa lo strumento a fare la differenza, non lo smartphone che è un puro medium. Pure in un'epoca come la nostra dov'è la tecnologia a trainare lo sviluppo del linguaggio e dell'economia.
Quando Leica, il mitico fabbricante tedesco di macchine fotografiche, ha lanciato sul mercato il modello MD 262, ha voluto proporre una camera senza l'elemento caratteristico di una camera digitale: lo schermo per fare l'inquadrature e per vedere istantaneamente le immagini scattate. Quel piccolo rettangolo che ci rassicura che il gesto di fotografare è sotto controllo. Un controsenso in apparenza, tanto più se pensiamo che la MD 262 ha un costo molto superiore rispetto alle altre fotocamere con analogo standar tecnologico. Gli mancano inoltre la messa a fuoco automatica e varie altre funzioni che daremmo oggi per scontate.
Come per la fotografia di Roberto Ventura, questa intuizione della Leica ci suggerisce che esistono anche altri modi per creare nell'epoca della proliferazione delle immagini e dell'automazione della tecnologia portatile. Leica propone un nuovo ritorno al vecchio modo di fotografare, qualcosa del tutto diverso dall'Iphone 7: un approccio dove è al centro il pensiero che sta dietro il gesto di fotografare.
Vorrei chiudere la mia breve riflessione con questo spunto in apparenza antitetico a quanto descritto finora. In verità è proprio questo il maggior vantaggio della nostra epoca digitale portatile: lo spirito di libertà che ci permette, nel video come nella fotografia di sperimentare e di continuare a innovare.
Un nuovo momento fotografico
di Riccardo Giamminola – curatore
La fotografia ha vissuto una svolta inimmaginabile: nei primi tre decenni del XXI secolo abbiamo assistito alla nascita del Web 2.0 e alla rivoluzione dei dispositivi mobili. Queste due pietre miliari hanno profondamente cambiato il modo di realizzare e diffondere la fotografia agli inizi del nuovo millennio.
Viviamo un momento storico senza precedenti in cui la nostra capacità di analizzare e mettere in discussione ciò che accade nell’ambiente fotografico è sopraffatta dalla velocità con cui si sono generati i cambiamenti sia tecnologici che di comunicazione.
Il mondo fotografico è pieno di domande che prima non erano mai state poste: Che ruolo ha oggi il fotografo professionale quando ci sono milioni di persone che realizzano fotografie e con la possibilità di un accesso senza precedenti alle reti di informazione? Sono ancora validi i criteri di valutazione fotografica ereditati dalle avanguardie? Oggi è più importante il processo creativo che realizzare una buona fotografia? Come si stanno alterando le nozioni del diritto d'autore e della originalità?
Prima della post-fotografia
Nel XXI secolo, la fotografia è più viva che mai, ma il modo di realizzarla, diffonderla e recepirla è cambiato in modo profondo. Ma questo non è legato esclusivamente agli sviluppi tecnologici.
Dal 2004 con l'inizio del cosiddetto Web 2.0 i social networks diventano un nuovo punto di svolta per la comunicazione umana. Questo cambiamento si manifestò in modo eclatante quando Steve Jobs presentò il 9 gennaio 2007, l'iPhone. Il CEO di Apple, disse al Moscone Center: "Di tanto in tanto c'è un prodotto rivoluzionario che cambia tutto ...".
La proliferazione di dispositivi mobili che combinano un potente computer collegato a Internet in modalità wireless e una fotocamera integrata, che realizza sia fotografie che video, ha messo a disposizione del pubblico in generale un complesso di possibilità di applicazione che solo ora stiamo cominciando a capire.
“La fotografia non è più quello che era prima." E, in effetti, come spiega il curatore fotografico Sema D'Acosta: "Nel secolo XXI la fotografia è diventata qualcosa di sostanzialmente diverso da quello che era nel XX secolo".
Oggi siamo di fronte alla fotografia vissuta in un'epoca di dispositivi mobili e social networks in cui nulla sembra essere scritto.
Claudia Laudanno spiega che "Il termine post-fotografia descrive un insieme di categorie più ampio, nel quale si iscrivono tutti i recenti fenomeni di riproduzione informatica e massmediatica della immagine analogica. In questo nuovo contesto, i codici iconici, iconografici e semantici sono sottoposti a una serie infinita di contaminazioni, travestitismi e ibridazioni di genere. Ora si interviene sulla immagine, la si modifica, la si riconfeziona. In questo senso, come sistema significante, la fotografia contemporanea non riguarda soltanto la semplice riproduzione automatica del mondo, ma anche la sua redifinizione a livello di finzione. [...] [La post-fotografia è un] termine che identifica il flusso di immagini che, attraverso fotocamere, telefoni cellulari o tablets, vengono eseguite ogni giorno e che tuttavia devono ancora essere definite a livello ontologico".
La post-fotografia è uno stato della fotografia che è irreversibile e in evoluzione. In effetti, "la fotografia non è quello che era prima" e si dovrebbe aggiungere un corollario: "e non ritornerà mai a essere quello che è oggi".
Social networks e post-fotografia
Fin dai primi anni di Internet si attribuí alla "rete delle reti" un potenziale particolare per l'espressione artistica.
"Stiamo realmente vivendo l'epoca in cui la fotografia e la società sono arrivati a punto di intersezione. La dematerializzazione della fotografia e la apparizione dei social networks hanno permesso un super produzione di immagini, che vengono trasmesse e che circolano su Internet a una velocità vertiginosa. I social networks come Facebook, Twitter, 500px, Instagram, solo per citarne alcuni, hanno cambiato le nostre abitudini e quelle della fotografia stessa. In realtà, la post-fotografia non è altro che la fotografia adattata alla nostra vita connessa alla rete".
Nella post-fotografia Internet, con i suoi social networks, è diventato un ambiente essenziale di distribuzione, diffusione, circolazione, ma anche una fonte di materiale artistico in cui le pratiche curatoriali e editoriali costituiscono una nuova forma di creazione artistica.
Ora il processo fotografico trascende il pulsante di scatto per continuare nella post-produzione, sia attraverso i dispositivi mobili o computer da tavolo, e si estende fino alla disseminazione attraverso le reti sociali.
"Scattare fotografie e mostrarle nei social network fa parte dei nuovi protocolli di comunicazione delle nuove sottoculture urbane post-fotografiche, nelle quali pochissimi sono lasciati fuori. Le fotografie già non raccolgono i ricordi da conservare, ma sono diventate messaggi da inviare e scambiare e si convertono in semplici gesti di comunicazione".
L'osservazione di un atto comunicativo completa la sua esistenza al momento della ricezione. La contemplazione implica qualcosa di più del semplice vedere, o anche osservare per raggiungere uno stato più rilevante.
Dovremmo chiederci seriamente: la fotografia di oggi si contempla quando per la maggior parte delle immagini immesse sui social networks vengono dedicati ad ogni fotografia solo frazioni di secondo? Parlare di contemplazione nell’ambito dell’alta velocità delle reti sociali può sembrare una sciocchezza.
Anche se si può credere che la contemplazione sia un ruolo passivo non è così: "La contemplazione significa attività. L'osservatore d'arte è un essere attivo, che può fare due cose: esegue o addirittura interpreta quello che ha realizzato l’artista".
Nella post-fotografia c’è un'urgenza che provoca cicli frenetici di creazione-disseminazione dove ci sono solo frazioni di secondo per catturare qualcosa e quindi pubblicarlo senza tornare a vederlo una seconda volta e senza sapere se qualcun altro davvero gli darà qualche importanza. Si tratta di un fenomeno in cui "la velocità prevale sull’istante decisivo, la rapidità sulla ricercatezza." Oggi "l'urgenza di esistere per l'immagine prevale sulla qualità stessa dell'immagine".
Nuovi ruoli e valori nella post-fotografia
La fotografia chimica aveva come valori fondamentali la memoria, la verità e la temporalità. Invece la sua seguente versione, la post-fotografia, è un fatto culturale realizzato quasi compulsivamente e distribuito attraverso mezzi di massificazione sociale in cui l'immagine sembra non obbedire a modelli o norme elevate.
Nel corso del Novecento la fotocamera è stata usata per custodire un momento importante: matrimonio, laurea, feste. Viceversa nel periodo post-fotografico si fotografa di tutto, tutto il tempo e in ogni luogo.
Il "momento Kodak" è passato alla storia. "L’atto di registrare non è più riservato allo straordinario. Nel regno della banalità, i momenti straordinari si sono eclissati." Visto che oggi fotografiamo tutto, sembra che nulla sia importante. Come dice Serge Daney: "Ci troviamo ciechi di fronte alla ipervisibilità del mondo. Come conseguenza del tanto vedere già non vediamo più nulla: l’eccesso di visione porta alla cecità".
Siamo passati dallo snap-shot al snap-and-show e dal “Pienso, ergo existo” al “Documento, ergo existo”.
La fotografia di oggi non ha più uno scopo di registrazione notarile: si è convertita nella manifestazione della nostra presenza. Non si tratta più di "questo era così" ma del "io ero lì".
Prima la fotografia era composta di momenti: i tradizionali eventi personali-famigliari. Abbiamo anche la nozione di "momento decisivo" di Henri Cartier-Bresson.
La post-fotografia sembra essere più legata alla fotografia come processo piuttosto che come momento. Non si tratta più di sapere catturare con la fotografia, nell'istante giusto, quelle situazioni incredibili e irripetibili. La fotografia è ormai un sistema di lavoro, ma ancora di più: si tratta di un vero e proprio rito.
Non è tanto importante il risultato (la foto che è stata fatta) ma il gesto, la stessa azione di fotografare (quando la fotografia è scattata). Fontcuberta parla di quello che chiama le "immagini-kleenex: usa e getta", ma in questo rituale fotografico parrebbe piuttosto di dover parlare di "fare e buttare". La azione di usare ha smesso di essere rilevante.
Oggi l'atto fotografico si converte in un rito ciclico che apre le giornata, la accompagna e la conclude. Il selfie diventa un rituale di conferma della propria esistenza in cui si esplicita la propria coscienza individuale, ma anche la propria dipendenza sociale. Forse allora la fotografia diventa un rituale di guarigione, un vero e proprio esorcismo. Non si dovrebbe quindi scartare la idea di considerare la realizzazione di una fotografia non come un gesto culturale o di comunicazione ma come un gesto catartico.
La promessa non è più di conservare per sempre il momento, ma di soddisfare il bisogno dell'individuo di imporre l'ordine sul caos della propria esistenza. La creazione fotografica potrebbe essere un modo per convincersi che la quotidianità ha un senso e nella quale l’ordine, la ripetizione e la regolarità offrono un futuro prevedibile e sicuro in contrasto con la paura dell'ignoto. Susan Sontag dice che l'atto fotografico è soprattutto "un rituale, la protezione contro l'ansia ..." Per questa saggista "La fotografia si trasforma in un rito della vita familiare".
Dall’eccesso all’accesso
Milioni di fotografie si realizzano senza sosta in tutto il mondo. Solo in Facebook ci sono più di 250 miliardi di fotografie. Ogni giorno si pubblicano 550 milioni di fotografie nelle reti sociali.
Come ha notato ancora una volta Joan Fontcuberta, siamo "... un mondo saturo di immagini: viviamo nell'immagine, e la immagine ci vive e ci fa vivere".
Fred Ritchin dice "ogni due minuti, stiamo realizzando lo stesso numero di fotografie che sono state fatte in tutto il XIX secolo. Ê enorme! Allora che cosa facciamo di tutto questo? È quello che Susan Sontag ha profetizzato un mondo "soffocato dalle immagini”.
E Fontcuberta rimprovera anche: "In queste circostanze di totale saturazione iconica, perché continuare a fotografare, Perché portare le immagini a questa proliferazione infinita?"
Cosa possiamo fare con queste 200 miliardi di fotografie realizzate in un anno per capire meglio la nostra società?
E questa pandemia fotografica non è esclusiva dei proprietari di smartphone pronti a “sguainare” il telefono alla minima provocazione: "La fotografia è diventata onnipresente, ci sono telecamere ovunque che catturano tutto".
Ma in questo contesto, nasce una strana contraddizione: siamo di fronte a una pandemia fotografica in cui il fotografo professionista sembra non avere uno spazio.
Il fotografo era una volta un genuino intermediario della immagine. Il suo ruolo era stato ereditato dal pittore, mago della immagine, e questo a sua volta faceva parte della stirpe di sciamani che detenevano il segreto della iconografia.
Jon Uriarte ha spiegato che "... lo status di generatore di immagini si è generalizzato e democratizzato ...". Perciò, al diventare popolare la conoscenza fotografica (basta vedere il numero di risorse online, tutorial in video, ecc.) lo specialista corre il rischio di convertirsi in una specie in via di estinzione. Il fotografo deve auto-riflettere e anche re-inventarsi.
Joan Fontcuberta parla di un passaggio dalla estetica dell'eccesso a quella dell’accesso e aggiunge che "Se in passato la censura si applicava privandoci delle informazioni oggi, al contrario, la disinformazione si ottiene immergendoci in una sovrabbondanza indiscriminata e indigesta di informazione. La informazione oggi acceca la conoscenza".
I nuovi dilemmi della attribuzione
Condividere è la parola chiave nel mondo digitale e la appropriazione, o "rubare", come alcuni preferiscono chiamarla, è una strategia post-fotografica fondamentale.
Ansel Adams disse che le fotografie "non si scattano, si fanno". Allora emerge che nella post-fotografia le fotografie non si fanno, si prendono, ce ne si appropria.
"Se l'appropriazione è privata", ha detto Joan Fontcuberta, "la adozione è per definizione una forma di dichiarazione pubblica. Appropriarsi significa "catturare", mentre adottare significare "dichiarare di aver scelto". Adottare è un atto genuinamente post-fotografico: non si rivendica nessuna paternità biologica delle immagini, solo la sua tutela ideologica".
"... la cultura visuale post-fotografica è scossa, da un lato, dalla messa in discussione aggressiva della nozione di autore e, dall’altro, dalla legittimazione delle pratiche appropriazioniste." In altre parole l'immagine è di chi la manipola!
Per l'artista si apre la possibilità che ogni fotografia che viene caricata su Instagram, Facebook o Twitter diventi una specie di ready-made duchampiano. Questo apre al fotografo un ventaglio di possibilità senza pari. E non è una novità: Alexander Rodchenko utilizzava le fotografie realizzate di altri nei suoi primi collages nel 1920.
E, in effetti, l'autore non è esclusivamente il fotografo che scatta la fotografia, ma chi la ri-contestualizza e le dà nuove letture sia come un singolo pezzo sia come una serie di fotografie con temi simili.
Sempre si è pensato che fosse naturale che un fotografo utilizzasse la sua macchina fotografica per creare immagini. Tuttavia nella post-fotografia si accetta, anche se non senza una certa dose di fastidio da parte dei settori più tradizionalisti, che la fotografia possa essere realizzata senza la macchina fotografica. In questo caso più che parlare di una fotografia si potrebbe parlare di "opera fotografica".
Fontcuberta afferma:" ... oggi abbiamo completato un processo di secolarizzazione della esperienza visuale: l'immagine non è più dominio di maghi, artisti, specialisti o professionisti al servizio dei poteri centralizzati. Oggi tutti noi produciamo spontaneamente immagini come un modo naturale per metterci in relazione con gli altri, la post-fotografia si erige come un nuovo linguaggio universale".
George Eastman aveva promesso che era sufficiente premere un pulsante; nella epoca degli smartphone non solo si può fare una fotografia con quella semplicità, ma si ha anche la possibilità di condividerla immediatamente con la propria cerchia di amici. Questa proliferazione dell'immagine fotografica era inimmaginabile.
Axel Bruns ha parlato dei nuovi "produsers", creatori che sono allo stesso tempo utenti (users) e produttori (producers), così come distributori.
"Il dilettantismo si è trasformato nella estetica dominante e il successo di nuovi gadget (smartphone, tablet, software di manipolazione delle immagini, ecc) mette l'utente in condizioni di parità con quello che una volta era considerato un artista. Non interessa affatto la discussione sul ruolo dell'arte nella società e su chi sia qualificato per essere il portavoce della sua generazione. Quello che da ora si impone è capire che questa separazione tra artista e utente si è annullata perché entrambi hanno gli stessi strumenti di produzione.
Quindi la domanda che investe la post-fotografia è: "Quale è la condizione dell’artista e dove si colloca l'utente?
Susan Sontag spiega che, quando la fotografia iniziò nel XIX secolo, tenuto conto che "... non esistevano fotografi professionisti, tanto meno potevano esserci dilettanti, e la fotografia non aveva un utilizzo sociale chiaro".
Produzione, circolazione e autori
La diffusione della opera è sempre stato un grosso problema. Senza pubblico non c’è opera d’arte. Come afferma Fernando Barreira "L'artista, senza il riflesso del pubblico non vale niente". Il culmine della produzione artistica è la sinergia con il pubblico.
Alcuni dei più grandi cambiamenti di paradigma nella post-fotografia si manifestano nella circolazione, la diffusione, la disseminazione della immagine. La fotografia con il cellulare sembra essere un gesto rituale dove crearla è più importante che vederla. Tuttavia, è importante anche prendere in considerazione l'importanza della disseminazione in questo gesto fotografico attuale. Rappresenta la transizione dal making allo sharing. La condivisione è un altro gesto distintivo delle reti sociali.
La chiave per la diffusione del lavoro nella post-fotografia è quella di capire che predomina la dimensione sociale. A partire da una forma collaborativa di creazione alla disseminazione attraverso una costante espansione delle relazioni sociali virtuali, ci troviamo di fronte a paradigma completamente nuovo. E questo è della massima importanza, poiché, come già disse Walter Benjamin, l’opera non ha alcuna utilità se non è inserita nel contesto delle relazioni sociali.
Oggi, come non mai, la circolazione di un'opera d'arte può essere parte della strategia autoriale e della articolazione di un discorso o di un concetto. La circolazione può essere, nella post-fotografia, una tattica usata nel processo di lavoro o parte di un sistema di riflessione.
Nella post-fotografia la singola fotografia è importante, ma solo se è funzionale alla creazione di un corpo di lavoro. Pieter Wisse, fotografo e curatore olandese, sostiene: "Penso che al giorno d'oggi si realizza facilmente una bella fotografia. La tecnologia [...] permette di ottenere splendide stampe. Ma questo non determina essere un buon fotografo. Penso che la prima caratteristica, la prima qualità importante, è quella di creare serie. Sempre cerco le immagini che siano parte di una serie, perché quando si fanno fotografie isolate, se se si scatta con una buona tecnica, si ottengono buone immagini. Ma è molto più difficile creare una serie. È difficile fare un gruppo di opere coerente, consistente".
Alcune riflessioni finali
Attualmente sembra che vi siano due posizioni abbastanza nette rispetto alla post-fotografia. Da una parte ci sono quelli che Steven Edwards definisce “utopisti digitali” che difendono a spada tratta la novità e l'importanza della fotografia digitale e tutti gli ambienti cibernetici di distribuzione e diffusione.
Dall’altra ci sono gli antagonisti di questa utopia digitale che potrebbero essere paragonabili, in qualche modo, a quelli che Fontcuberta chiama "fotosauri".
Gli oppositori sottolineano i dilemmi tra verità-menzogna nella fotografia digitale (come se l’analogico rappresentasse una garanzia assoluta, quando non lo è mai stata) e vedono con orrore i fenomeni di distribuzione cibernetica.
Entrambi i profili, utopisti tecnologici e oppositori, sono manichei e riduzionisti.
Il rischio per i nativi digitali è di dimenticare e respingere le radici pre-digitali. Per il nativo digitale la sfida fondamentale sarà agire nel presente partendo dalla analisi del passato.
Una visione comune, che non lasci spazio a posizioni estreme, offrirà alla post-fotografia una prospettiva migliore per comprenderla, praticarla, capirla e riflettere su di essa.
La sfida della post-fotografia non è solamente tecnologica, ma soprattutto sociale. Si è spesso analizzata la storia della fotografia concentrandosi sull’aspetto tecnico, scientifico o artistico, mettendo così da parte l’aspetto sociale.
La post-fotografia, piuttosto che essere ridotta in una sfera puramente fotografica, rappresenta una "Polaroid" dello stato attuale di una società in fase di transizione, dove sono cambiati i ruoli, le gerarchie e le interrelazioni. La post-fotografia è in realtà un esempio di un momento specifico di trasformazione dell'umanità.
di Riccardo Giamminola – curatore
La fotografia ha vissuto una svolta inimmaginabile: nei primi tre decenni del XXI secolo abbiamo assistito alla nascita del Web 2.0 e alla rivoluzione dei dispositivi mobili. Queste due pietre miliari hanno profondamente cambiato il modo di realizzare e diffondere la fotografia agli inizi del nuovo millennio.
Viviamo un momento storico senza precedenti in cui la nostra capacità di analizzare e mettere in discussione ciò che accade nell’ambiente fotografico è sopraffatta dalla velocità con cui si sono generati i cambiamenti sia tecnologici che di comunicazione.
Il mondo fotografico è pieno di domande che prima non erano mai state poste: Che ruolo ha oggi il fotografo professionale quando ci sono milioni di persone che realizzano fotografie e con la possibilità di un accesso senza precedenti alle reti di informazione? Sono ancora validi i criteri di valutazione fotografica ereditati dalle avanguardie? Oggi è più importante il processo creativo che realizzare una buona fotografia? Come si stanno alterando le nozioni del diritto d'autore e della originalità?
Prima della post-fotografia
Nel XXI secolo, la fotografia è più viva che mai, ma il modo di realizzarla, diffonderla e recepirla è cambiato in modo profondo. Ma questo non è legato esclusivamente agli sviluppi tecnologici.
Dal 2004 con l'inizio del cosiddetto Web 2.0 i social networks diventano un nuovo punto di svolta per la comunicazione umana. Questo cambiamento si manifestò in modo eclatante quando Steve Jobs presentò il 9 gennaio 2007, l'iPhone. Il CEO di Apple, disse al Moscone Center: "Di tanto in tanto c'è un prodotto rivoluzionario che cambia tutto ...".
La proliferazione di dispositivi mobili che combinano un potente computer collegato a Internet in modalità wireless e una fotocamera integrata, che realizza sia fotografie che video, ha messo a disposizione del pubblico in generale un complesso di possibilità di applicazione che solo ora stiamo cominciando a capire.
“La fotografia non è più quello che era prima." E, in effetti, come spiega il curatore fotografico Sema D'Acosta: "Nel secolo XXI la fotografia è diventata qualcosa di sostanzialmente diverso da quello che era nel XX secolo".
Oggi siamo di fronte alla fotografia vissuta in un'epoca di dispositivi mobili e social networks in cui nulla sembra essere scritto.
Claudia Laudanno spiega che "Il termine post-fotografia descrive un insieme di categorie più ampio, nel quale si iscrivono tutti i recenti fenomeni di riproduzione informatica e massmediatica della immagine analogica. In questo nuovo contesto, i codici iconici, iconografici e semantici sono sottoposti a una serie infinita di contaminazioni, travestitismi e ibridazioni di genere. Ora si interviene sulla immagine, la si modifica, la si riconfeziona. In questo senso, come sistema significante, la fotografia contemporanea non riguarda soltanto la semplice riproduzione automatica del mondo, ma anche la sua redifinizione a livello di finzione. [...] [La post-fotografia è un] termine che identifica il flusso di immagini che, attraverso fotocamere, telefoni cellulari o tablets, vengono eseguite ogni giorno e che tuttavia devono ancora essere definite a livello ontologico".
La post-fotografia è uno stato della fotografia che è irreversibile e in evoluzione. In effetti, "la fotografia non è quello che era prima" e si dovrebbe aggiungere un corollario: "e non ritornerà mai a essere quello che è oggi".
Social networks e post-fotografia
Fin dai primi anni di Internet si attribuí alla "rete delle reti" un potenziale particolare per l'espressione artistica.
"Stiamo realmente vivendo l'epoca in cui la fotografia e la società sono arrivati a punto di intersezione. La dematerializzazione della fotografia e la apparizione dei social networks hanno permesso un super produzione di immagini, che vengono trasmesse e che circolano su Internet a una velocità vertiginosa. I social networks come Facebook, Twitter, 500px, Instagram, solo per citarne alcuni, hanno cambiato le nostre abitudini e quelle della fotografia stessa. In realtà, la post-fotografia non è altro che la fotografia adattata alla nostra vita connessa alla rete".
Nella post-fotografia Internet, con i suoi social networks, è diventato un ambiente essenziale di distribuzione, diffusione, circolazione, ma anche una fonte di materiale artistico in cui le pratiche curatoriali e editoriali costituiscono una nuova forma di creazione artistica.
Ora il processo fotografico trascende il pulsante di scatto per continuare nella post-produzione, sia attraverso i dispositivi mobili o computer da tavolo, e si estende fino alla disseminazione attraverso le reti sociali.
"Scattare fotografie e mostrarle nei social network fa parte dei nuovi protocolli di comunicazione delle nuove sottoculture urbane post-fotografiche, nelle quali pochissimi sono lasciati fuori. Le fotografie già non raccolgono i ricordi da conservare, ma sono diventate messaggi da inviare e scambiare e si convertono in semplici gesti di comunicazione".
L'osservazione di un atto comunicativo completa la sua esistenza al momento della ricezione. La contemplazione implica qualcosa di più del semplice vedere, o anche osservare per raggiungere uno stato più rilevante.
Dovremmo chiederci seriamente: la fotografia di oggi si contempla quando per la maggior parte delle immagini immesse sui social networks vengono dedicati ad ogni fotografia solo frazioni di secondo? Parlare di contemplazione nell’ambito dell’alta velocità delle reti sociali può sembrare una sciocchezza.
Anche se si può credere che la contemplazione sia un ruolo passivo non è così: "La contemplazione significa attività. L'osservatore d'arte è un essere attivo, che può fare due cose: esegue o addirittura interpreta quello che ha realizzato l’artista".
Nella post-fotografia c’è un'urgenza che provoca cicli frenetici di creazione-disseminazione dove ci sono solo frazioni di secondo per catturare qualcosa e quindi pubblicarlo senza tornare a vederlo una seconda volta e senza sapere se qualcun altro davvero gli darà qualche importanza. Si tratta di un fenomeno in cui "la velocità prevale sull’istante decisivo, la rapidità sulla ricercatezza." Oggi "l'urgenza di esistere per l'immagine prevale sulla qualità stessa dell'immagine".
Nuovi ruoli e valori nella post-fotografia
La fotografia chimica aveva come valori fondamentali la memoria, la verità e la temporalità. Invece la sua seguente versione, la post-fotografia, è un fatto culturale realizzato quasi compulsivamente e distribuito attraverso mezzi di massificazione sociale in cui l'immagine sembra non obbedire a modelli o norme elevate.
Nel corso del Novecento la fotocamera è stata usata per custodire un momento importante: matrimonio, laurea, feste. Viceversa nel periodo post-fotografico si fotografa di tutto, tutto il tempo e in ogni luogo.
Il "momento Kodak" è passato alla storia. "L’atto di registrare non è più riservato allo straordinario. Nel regno della banalità, i momenti straordinari si sono eclissati." Visto che oggi fotografiamo tutto, sembra che nulla sia importante. Come dice Serge Daney: "Ci troviamo ciechi di fronte alla ipervisibilità del mondo. Come conseguenza del tanto vedere già non vediamo più nulla: l’eccesso di visione porta alla cecità".
Siamo passati dallo snap-shot al snap-and-show e dal “Pienso, ergo existo” al “Documento, ergo existo”.
La fotografia di oggi non ha più uno scopo di registrazione notarile: si è convertita nella manifestazione della nostra presenza. Non si tratta più di "questo era così" ma del "io ero lì".
Prima la fotografia era composta di momenti: i tradizionali eventi personali-famigliari. Abbiamo anche la nozione di "momento decisivo" di Henri Cartier-Bresson.
La post-fotografia sembra essere più legata alla fotografia come processo piuttosto che come momento. Non si tratta più di sapere catturare con la fotografia, nell'istante giusto, quelle situazioni incredibili e irripetibili. La fotografia è ormai un sistema di lavoro, ma ancora di più: si tratta di un vero e proprio rito.
Non è tanto importante il risultato (la foto che è stata fatta) ma il gesto, la stessa azione di fotografare (quando la fotografia è scattata). Fontcuberta parla di quello che chiama le "immagini-kleenex: usa e getta", ma in questo rituale fotografico parrebbe piuttosto di dover parlare di "fare e buttare". La azione di usare ha smesso di essere rilevante.
Oggi l'atto fotografico si converte in un rito ciclico che apre le giornata, la accompagna e la conclude. Il selfie diventa un rituale di conferma della propria esistenza in cui si esplicita la propria coscienza individuale, ma anche la propria dipendenza sociale. Forse allora la fotografia diventa un rituale di guarigione, un vero e proprio esorcismo. Non si dovrebbe quindi scartare la idea di considerare la realizzazione di una fotografia non come un gesto culturale o di comunicazione ma come un gesto catartico.
La promessa non è più di conservare per sempre il momento, ma di soddisfare il bisogno dell'individuo di imporre l'ordine sul caos della propria esistenza. La creazione fotografica potrebbe essere un modo per convincersi che la quotidianità ha un senso e nella quale l’ordine, la ripetizione e la regolarità offrono un futuro prevedibile e sicuro in contrasto con la paura dell'ignoto. Susan Sontag dice che l'atto fotografico è soprattutto "un rituale, la protezione contro l'ansia ..." Per questa saggista "La fotografia si trasforma in un rito della vita familiare".
Dall’eccesso all’accesso
Milioni di fotografie si realizzano senza sosta in tutto il mondo. Solo in Facebook ci sono più di 250 miliardi di fotografie. Ogni giorno si pubblicano 550 milioni di fotografie nelle reti sociali.
Come ha notato ancora una volta Joan Fontcuberta, siamo "... un mondo saturo di immagini: viviamo nell'immagine, e la immagine ci vive e ci fa vivere".
Fred Ritchin dice "ogni due minuti, stiamo realizzando lo stesso numero di fotografie che sono state fatte in tutto il XIX secolo. Ê enorme! Allora che cosa facciamo di tutto questo? È quello che Susan Sontag ha profetizzato un mondo "soffocato dalle immagini”.
E Fontcuberta rimprovera anche: "In queste circostanze di totale saturazione iconica, perché continuare a fotografare, Perché portare le immagini a questa proliferazione infinita?"
Cosa possiamo fare con queste 200 miliardi di fotografie realizzate in un anno per capire meglio la nostra società?
E questa pandemia fotografica non è esclusiva dei proprietari di smartphone pronti a “sguainare” il telefono alla minima provocazione: "La fotografia è diventata onnipresente, ci sono telecamere ovunque che catturano tutto".
Ma in questo contesto, nasce una strana contraddizione: siamo di fronte a una pandemia fotografica in cui il fotografo professionista sembra non avere uno spazio.
Il fotografo era una volta un genuino intermediario della immagine. Il suo ruolo era stato ereditato dal pittore, mago della immagine, e questo a sua volta faceva parte della stirpe di sciamani che detenevano il segreto della iconografia.
Jon Uriarte ha spiegato che "... lo status di generatore di immagini si è generalizzato e democratizzato ...". Perciò, al diventare popolare la conoscenza fotografica (basta vedere il numero di risorse online, tutorial in video, ecc.) lo specialista corre il rischio di convertirsi in una specie in via di estinzione. Il fotografo deve auto-riflettere e anche re-inventarsi.
Joan Fontcuberta parla di un passaggio dalla estetica dell'eccesso a quella dell’accesso e aggiunge che "Se in passato la censura si applicava privandoci delle informazioni oggi, al contrario, la disinformazione si ottiene immergendoci in una sovrabbondanza indiscriminata e indigesta di informazione. La informazione oggi acceca la conoscenza".
I nuovi dilemmi della attribuzione
Condividere è la parola chiave nel mondo digitale e la appropriazione, o "rubare", come alcuni preferiscono chiamarla, è una strategia post-fotografica fondamentale.
Ansel Adams disse che le fotografie "non si scattano, si fanno". Allora emerge che nella post-fotografia le fotografie non si fanno, si prendono, ce ne si appropria.
"Se l'appropriazione è privata", ha detto Joan Fontcuberta, "la adozione è per definizione una forma di dichiarazione pubblica. Appropriarsi significa "catturare", mentre adottare significare "dichiarare di aver scelto". Adottare è un atto genuinamente post-fotografico: non si rivendica nessuna paternità biologica delle immagini, solo la sua tutela ideologica".
"... la cultura visuale post-fotografica è scossa, da un lato, dalla messa in discussione aggressiva della nozione di autore e, dall’altro, dalla legittimazione delle pratiche appropriazioniste." In altre parole l'immagine è di chi la manipola!
Per l'artista si apre la possibilità che ogni fotografia che viene caricata su Instagram, Facebook o Twitter diventi una specie di ready-made duchampiano. Questo apre al fotografo un ventaglio di possibilità senza pari. E non è una novità: Alexander Rodchenko utilizzava le fotografie realizzate di altri nei suoi primi collages nel 1920.
E, in effetti, l'autore non è esclusivamente il fotografo che scatta la fotografia, ma chi la ri-contestualizza e le dà nuove letture sia come un singolo pezzo sia come una serie di fotografie con temi simili.
Sempre si è pensato che fosse naturale che un fotografo utilizzasse la sua macchina fotografica per creare immagini. Tuttavia nella post-fotografia si accetta, anche se non senza una certa dose di fastidio da parte dei settori più tradizionalisti, che la fotografia possa essere realizzata senza la macchina fotografica. In questo caso più che parlare di una fotografia si potrebbe parlare di "opera fotografica".
Fontcuberta afferma:" ... oggi abbiamo completato un processo di secolarizzazione della esperienza visuale: l'immagine non è più dominio di maghi, artisti, specialisti o professionisti al servizio dei poteri centralizzati. Oggi tutti noi produciamo spontaneamente immagini come un modo naturale per metterci in relazione con gli altri, la post-fotografia si erige come un nuovo linguaggio universale".
George Eastman aveva promesso che era sufficiente premere un pulsante; nella epoca degli smartphone non solo si può fare una fotografia con quella semplicità, ma si ha anche la possibilità di condividerla immediatamente con la propria cerchia di amici. Questa proliferazione dell'immagine fotografica era inimmaginabile.
Axel Bruns ha parlato dei nuovi "produsers", creatori che sono allo stesso tempo utenti (users) e produttori (producers), così come distributori.
"Il dilettantismo si è trasformato nella estetica dominante e il successo di nuovi gadget (smartphone, tablet, software di manipolazione delle immagini, ecc) mette l'utente in condizioni di parità con quello che una volta era considerato un artista. Non interessa affatto la discussione sul ruolo dell'arte nella società e su chi sia qualificato per essere il portavoce della sua generazione. Quello che da ora si impone è capire che questa separazione tra artista e utente si è annullata perché entrambi hanno gli stessi strumenti di produzione.
Quindi la domanda che investe la post-fotografia è: "Quale è la condizione dell’artista e dove si colloca l'utente?
Susan Sontag spiega che, quando la fotografia iniziò nel XIX secolo, tenuto conto che "... non esistevano fotografi professionisti, tanto meno potevano esserci dilettanti, e la fotografia non aveva un utilizzo sociale chiaro".
Produzione, circolazione e autori
La diffusione della opera è sempre stato un grosso problema. Senza pubblico non c’è opera d’arte. Come afferma Fernando Barreira "L'artista, senza il riflesso del pubblico non vale niente". Il culmine della produzione artistica è la sinergia con il pubblico.
Alcuni dei più grandi cambiamenti di paradigma nella post-fotografia si manifestano nella circolazione, la diffusione, la disseminazione della immagine. La fotografia con il cellulare sembra essere un gesto rituale dove crearla è più importante che vederla. Tuttavia, è importante anche prendere in considerazione l'importanza della disseminazione in questo gesto fotografico attuale. Rappresenta la transizione dal making allo sharing. La condivisione è un altro gesto distintivo delle reti sociali.
La chiave per la diffusione del lavoro nella post-fotografia è quella di capire che predomina la dimensione sociale. A partire da una forma collaborativa di creazione alla disseminazione attraverso una costante espansione delle relazioni sociali virtuali, ci troviamo di fronte a paradigma completamente nuovo. E questo è della massima importanza, poiché, come già disse Walter Benjamin, l’opera non ha alcuna utilità se non è inserita nel contesto delle relazioni sociali.
Oggi, come non mai, la circolazione di un'opera d'arte può essere parte della strategia autoriale e della articolazione di un discorso o di un concetto. La circolazione può essere, nella post-fotografia, una tattica usata nel processo di lavoro o parte di un sistema di riflessione.
Nella post-fotografia la singola fotografia è importante, ma solo se è funzionale alla creazione di un corpo di lavoro. Pieter Wisse, fotografo e curatore olandese, sostiene: "Penso che al giorno d'oggi si realizza facilmente una bella fotografia. La tecnologia [...] permette di ottenere splendide stampe. Ma questo non determina essere un buon fotografo. Penso che la prima caratteristica, la prima qualità importante, è quella di creare serie. Sempre cerco le immagini che siano parte di una serie, perché quando si fanno fotografie isolate, se se si scatta con una buona tecnica, si ottengono buone immagini. Ma è molto più difficile creare una serie. È difficile fare un gruppo di opere coerente, consistente".
Alcune riflessioni finali
Attualmente sembra che vi siano due posizioni abbastanza nette rispetto alla post-fotografia. Da una parte ci sono quelli che Steven Edwards definisce “utopisti digitali” che difendono a spada tratta la novità e l'importanza della fotografia digitale e tutti gli ambienti cibernetici di distribuzione e diffusione.
Dall’altra ci sono gli antagonisti di questa utopia digitale che potrebbero essere paragonabili, in qualche modo, a quelli che Fontcuberta chiama "fotosauri".
Gli oppositori sottolineano i dilemmi tra verità-menzogna nella fotografia digitale (come se l’analogico rappresentasse una garanzia assoluta, quando non lo è mai stata) e vedono con orrore i fenomeni di distribuzione cibernetica.
Entrambi i profili, utopisti tecnologici e oppositori, sono manichei e riduzionisti.
Il rischio per i nativi digitali è di dimenticare e respingere le radici pre-digitali. Per il nativo digitale la sfida fondamentale sarà agire nel presente partendo dalla analisi del passato.
Una visione comune, che non lasci spazio a posizioni estreme, offrirà alla post-fotografia una prospettiva migliore per comprenderla, praticarla, capirla e riflettere su di essa.
La sfida della post-fotografia non è solamente tecnologica, ma soprattutto sociale. Si è spesso analizzata la storia della fotografia concentrandosi sull’aspetto tecnico, scientifico o artistico, mettendo così da parte l’aspetto sociale.
La post-fotografia, piuttosto che essere ridotta in una sfera puramente fotografica, rappresenta una "Polaroid" dello stato attuale di una società in fase di transizione, dove sono cambiati i ruoli, le gerarchie e le interrelazioni. La post-fotografia è in realtà un esempio di un momento specifico di trasformazione dell'umanità.